mercoledì 26 novembre 2008

La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare


Ciao,
sabato 29 novembre partecipa alla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, donando parte delle tua spesa a chi non può farla.
Passaparola e manda l'invito anche ai tuoi amici.
Per saperne di più e conoscere l’elenco dei supermercati che aderiscono all’iniziativa vai sul sito http://www.bancoalimentare.it/
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martedì 11 novembre 2008

Amianto: l'urlo silenzioso di Casale che chiede giustizia e ricerca - In duemila alla fiaccolata


da "Il Monferrato"

«Quanti siamo?». «Un mare». A pensare quanti lutti e quante lacrime, quante vite e quante famiglie distrutte ci siano dietro a tutte queste fiaccole, ti vengono i brividi addosso. Guai a parlare di successo della manifestazione: perché dietro questa vasta partecipazione popolare c’è una strage senza fine.
E questo corteo composto e commosso rappresenta solo l’urlo silenzioso di una città, di un territorio che piange più di 1500 morti da amianto, che chiede giustizia e che invoca speranza: «Giustizia, bonifica e ricerca per battere il mesotelioma», come chiedono i promotori della fiaccolata partita alle 18 di lunedì dal mercato Pavia.
C’è tantissima gente comune - e molti non trattengono le lacrime - e poi c’è una grande adesione da parte del mondo dello sport. C’è Matteo Formenti, il capitano della Junior basket; c’è Carlo Alberto Mercandelli, l’ex azzurro di motocross, reduce dalla maratona di New York; c’è Linda Giordana, la bandiera della pallavolo casalese; c’è Alberto Gnani, il fondatore della pallamano casalese. E c’è una massiccia partecipazione del settore giovanile del Casale calcio, che apre il corteo. E poi, tanti, tantissimi altri.
C’è Carlo Liedholm, il figlio del popolarissimo allenatore, che per il mesotelioma ha perso la moglie, casalese. C’è Giusy Pivetta, la vedova dell’imprenditore in cui memoria, all’inizio di ottobre è stata organizzata a Terruggia una prima fiaccolata spontanea da cui è nata l’idea di questa manifestazione in città. C’è anche una delegazione della Thyssen Krupp di Torino. Ci sono i medici che combattono la loro battaglia quotidiana a fianco dei malati di mesotelioma, come Daniela Degiovanni e Luciano Mutti; ci sono tanti sindaci del Comprensorio, con le fasce tricolori, accanto al primo cittadino di Casale Paolo Mascarino e tanti politici dei vari schieramenti, in rappresentanza di Comuni, Provincia, Regione; ci sono i sindacalisti, i componenti del Comitato vertenza Amianto guidati da Romana Blasotti Pavesi, i volontari di Vitas. Ci sono anche don Antonio Gennaro, vicario generale della Diocesi e don Gino Piccio, già prete operaio e Premio per la Pace. E ancora: piccoli imprenditori, impiegati, pensionati. «Fermiamo questa strage», invoca uno striscione.
Il corteo percorre via Aporti, corso Manacorda, imbocca via Roma per poi ritornare in piazza Castello. Il traffico si ferma e le auto si incolonnano rispettose. I promotori, alla fine, parlano di oltre 2000 partecipanti. Secondo la Questura, sono 1600-1700.
A pensare che ad ogni fiaccola corrisponde una vittima, una vittima di una strage assurda e crudele, ti vengono altro che i brividi. Tutta questa gente che sfila silenziosa, a nome dell’intera città e dell’intero territorio, chiede giustizia e speranza. Per coloro che sono ammalati e per coloro che purtroppo si ammaleranno. E poi, quando finalmente a Casale la strage sarà finita, per tutti coloro che vivono nei Paesi in cui ancora viene - incredibilmente lavorato l’amianto.

lunedì 3 novembre 2008

Esistono ancora programmi tv di qualità


di Silvia Motta da www.ilsussidiario.net

Ospite di un talk show su “tv e democrazia” mi si chiedeva se la tv in Italia sia mai stata libera. “D’altra parte”, diceva la scheda iniziale del programma, “la tv è spesso manipolabile e distorta da vari fattori. Come l’auditel o la forte influenza del potere politico che minano l’indipendenza dell’informazione ma anche la qualità culturale dei programmi di intrattenimento”. Ragionamento ineccepibile dal punto di vista del trend televisivo: 1) informazione condizionata e faziosa 2) intrattenimento trash.

La conseguenza del ragionamento sarebbe una epurazione vistosa del potere politico e una riduzione dell’influenza del potere economico su una delle maggiori industrie a livello nazionale, quella della produzione televisiva. Realistico? A me pare di no. Ce la vediamo una Mediaset che improvvisamente decide di rinunciare agli alti ascolti di C’è posta per te in favore di un innalzamento culturale del telespettatore? O una Rai che in quattro e quattro otto si disfi dei poteri editorial politici per garantire un pluralismo oggettivo “alla BBC”? Forse si, ma non in tempi brevi. E poi chi potrebbe farsi garante di un così titanico cambiamento?

Se mi si dovesse chiedere di fare una tabella sui programmi di qualità o meno della tv italiana, mi accoderei alla opinione comune che vede i reality, Uomini e Donne, i soliti Veline e Velone e molti altri dalla parte dei cattivi, salvando documentari, programmi sulla storia e magari qualche quiz. Perché è questo che vuole una certa critica di stampo moralistico. Ma i super eroi non esistono e inevitabilmente la tv avrà sempre a che fare con tutti i poteri sopra citati: politico, economico e chi più ne ha più ne metta. Siamo allora condannati al ciclo e riciclo storico di buona e cattiva qualità in tv? Anche se vi dicessi di non guardare questa o quella trasmissione perché fa male alla salute, temo che la dialettica dei programmi di Maria De Filippi in un fotogramma vi convincerebbe del contrario.

La vera domanda non è dunque se in Italia la tv sia mai stata libera, ma se il telespettatore sia mai stato libero davanti alla tv. Ciò che spesso manca a chi ingurgita i raggi del tubo catodico è un’educazione a giudicare. Accendiamo la tv e ci perdiamo nel carpe diem dell’immagine, delle argomentazioni, delle risse, delle emozioni, trascinati da sentimentalismi su quello che ci viene proposto. Ci vuole una forza di strappo, in favore della coscienza che io telespettatore sono anche un uomo e in quanto tale sono fatto per qualcosa di più di quello che sento.

In uno dei suoi pensieri Pascal dice che se tutto il mondo gli precipitasse addosso per schiacciarlo, lui sarebbe più grande in forza di qualcosa che sfugge al nesso mortale e lo giudica, lo comprende. Alla luce di questo concetto, di fronte alla tv cosa avrebbe fatto Pascal? In alcuni casi l’avrebbe spenta, in altri invece sarebbe stato ad ascoltare perché vi avrebbe trovato una corrispondenza o perché avrebbe inteso giudicarla, magari per discuterne poi ospite in qualche talk show o anche con gli amici al bar. Giudichiamo la tv. Giudichiamo tutto ciò che passa, anche sullo schermo di casa nostra.

sabato 13 settembre 2008

l discorsi del Papa a Lourdes

sabato, 13 settembre 2008 - Discorso del Papa a Lourdes dopo la processione “aux flambeaux”

Caro Monsignor Perrier, Vescovo di Tarbes e Lourdes, cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari pellegrini, cari fratelli e sorelle!
Centocinquant’anni fa, l’11 febbraio 1858, in questo luogo detto La grotta di Massabielle, fuori dell’abitato, una semplice ragazzina di Lourdes, Bernadette Soubirous, vide una luce e, dentro questa luce, una giovane signora “bella, bella, più di tutto”. Questa Signora si rivolse a lei con bontà e dolcezza, con rispetto e fiducia. “Essa mi dava del voi (racconta Bernadette)…Volete farmi il favore di venire qui durante i prossimi quindici giorni? (le domanda la Signora)…Essa mi guardava come una persona che parla ad un’altra persona”. E’ in questa conversazione, in questo dialogo tutto pervaso di delicatezza, che la Signora la incarica di trasmettere certi messaggi molto semplici sulla preghiera, la penitenza e la conversione. Non suscita meraviglia che Maria sia bella, giacché, nell’apparizione del 25 marzo 1858, ella rivela così il suo nome: “Io sono l’Immacolata Concezione”.
Guardiamo a nostra volta quella “Donna vestita di sole”(Ap 12,1) che ci descrive la Scrittura. La Santissima Vergine Maria, la Donna gloriosa dell’Apocalisse, porta sul suo capo una corona di dodici stelle, che rappresentano le dodici tribù d’Israele, l’intero popolo di Dio, tutta la comunione dei santi, e insieme, ai suoi piedi, la luna, immagine della morte e della mortalità. Maria ha lasciato la morte dietro di sé; è interamente rivestita di vita, quella del Figlio, del Cristo risorto. Ella è così il segno della vittoria dell’amore, del bene e di Dio, che dona al nostro mondo la speranza di cui ha bisogno. Questa sera volgiamo il nostro sguardo verso Maria, così gloriosa e così umana, e lasciamo che sia lei a condurci verso Dio, che è il vincitore.
Numerose persone ne hanno reso testimonianza: l’incontro col viso luminoso di Bernadette sconvolgeva i cuori e gli sguardi. Sia durante le apparizioni che quando le raccontava, il suo viso diveniva tutto raggiante. Bernadette era ormai abitata dalla luce di Massabielle. La vita quotidiana della famiglia Soubirous, tuttavia, era tuttavia intessuta di miseria e di tristezza, di malattia e di incomprensione, di rifiuto e di povertà. Pur non mancando amore e calore nelle relazioni familiari, era difficile vivere nel “cachot” (la “prigione”). Ma le ombre della terra non hanno impedito di brillare alla luce del cielo: “La luce splende nelle tenebre…”(Gv 1,5). Lourdes è uno di quei luoghi che Dio ha scelto per farvi risplendere un raggio particolare della sua bellezza; da ciò l’importanza che acquista qui il simbolo della luce. A partire dalla quarta apparizione Bernadette, arrivando alla grotta, accendeva ogni mattina un cero benedetto e lo teneva nella mano sinistra, fin che la Vergine le si mostrava.
Ben presto, vi furono persone che affidarono a Bernadette un cero perché lo conficcasse nella terra in fondo alla grotta. In breve tempo, anche altre persone deposero ceri in quel luogo di luce e di pace. La stessa Madre di Dio fece sapere di gradire l’omaggio toccante di quelle migliaia di ceri, che da allora rischiarano senza interruzione, per dare gloria a lei, il masso roccioso dell’apparizione. Da quel giorno, davanti alla grotta, notte e giorno, tanto d’estate quanto d’inverno, brilla un roveto ardente incendiato dalle preghiere dei pellegrini e dei malati, che esprimono le loro preoccupazioni e i loro bisogni, ma soprattutto la loro fede e la loro speranza. Venendo in pellegrinaggio qui, a Lourdes, noi vogliamo entrare, sulle orme di Bernadette, in quella straordinaria prossimità tra il cielo e la terra che non si è mai smentita e che non cessa di consolidarsi. Durante le apparizioni è da rilevare che Bernadette recita la corona sotto gli occhi di Maria, che si unisce a lei al momento della dossologia. Questo fatto conferma il carattere profondamente teocentrico della preghiera del Rosario. Quando recitiamo la corona, Maria ci offre il suo cuore e il suo sguardo per contemplare la vita del Figlio suo, Cristo Gesù. Il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo
II venne due volte qui, a Lourdes. Noi sappiamo quanto, nella sua vita e nel suo ministero, la preghiera si appoggiasse sull’intercessione della Vergine Maria. Come molti suoi Predecessori sulla Sede di Pietro, anch’egli incoraggiò vivamente la preghiera della corona; lo fece, tra l’altro, in un modo del tutto singolare, arricchendo il Rosario con la meditazione dei Misteri della Luce. Questi sono del resto rappresentati sulla facciata della Basilica nei nuovi mosaici, inaugurati l’anno scorso. Come per tutti gli avvenimenti della vita di Cristo che essa “serbava meditandoli nel suo cuore” (Lc 2,19), Maria ci fa comprendere tutte le tappe del ministero pubblico come parte integrante della rivelazione della Gloria di Dio. Possa Lourdes, terra di luce, restare una scuola per imparare a recitare il Rosario, che introduce i discepoli di Gesù, sotto gli occhi della Madre sua, in un dialogo autentico e cordiale con il suo Maestro!
Per bocca di Bernadette noi sentiamo la Vergine Maria chiederci di venire qui in processione per pregare con semplicità e fervore. La processione “aux flambeaux” traduce ai nostri occhi di carne il mistero della preghiera: nella comunione della Chiesa, che unisce eletti del cielo e pellegrini della terra, la luce zampilla dal dialogo tra l’uomo e il suo Signore e una strada luminosa si apre nella storia degli uomini, compresi anche i momenti più bui. Questa processione è un momento di grande gioia ecclesiale, ma anche un tempo di riflessione austera: le intenzioni che portiamo con noi sottolineano la nostra profonda comunione con tutti gli esseri che soffrono. Pensiamo alle vittime innocenti che subiscono la violenza, la guerra, il terrorismo, la carestia, o che portano le conseguenze delle ingiustizie, dei flagelli e delle calamità, dell’odio e dell’oppressione, degli attentati alla loro dignità umana e ai loro diritti fondamentali, alla loro libertà d’azione e di pensiero. Pensiamo anche a coloro che vivono problemi familiari o che soffrono in conseguenza della disoccupazione, della malattia, dell’infermità, della solitudine, della loro situazione di immigrati. Non voglio inoltre dimenticare coloro che patiscono a causa del nome di Cristo e che muoiono per Lui. Maria ci insegna a pregare, a fare della nostra preghiera un atto d’amore per Dio e di carità fraterna. Pregando con Maria, il nostro cuore accoglie coloro che soffrono. Come potrebbe la nostra vita non esserne, di conseguenza, trasformata? Perché il nostro essere e la nostra vita tutta intera non dovrebbero diventare luoghi di ospitalità per il nostro prossimo? Lourdes è un luogo di luce, perché è un luogo di comunione, di speranza e di conversione.
Ora che cala la notte Gesù ci dice: “Conservate le vostre lampade accese” (cfr Lc 12,35): la lampada della fede, la lampada della preghiera, la lampada della speranza e dell’amore! Questo camminare nella notte, portando la luce, parla con forza al nostro intimo, tocca il nostro cuore e dice molto di più che ogni altra parola pronunciata o intesa. Questo gesto riassume da solo la nostra condizione di cristiani in cammino: abbiamo bisogno di luce e, allo stesso tempo, siamo chiamati a divenire luce. Il peccato ci rende ciechi, ci impedisce di proporci come guide per i nostri fratelli, e ci spinge a diffidare di loro e a non lasciarci guidare. Abbiamo bisogno di essere illuminati e ripetiamo la supplica del cieco Bartimeo: “Maestro, fa’ che io veda!” (Mc 10,51). Fa’ che io veda il mio peccato che mi intralcia, ma soprattutto: Signore, fa’ che io veda la tua gloria! Lo sappiamo: la nostra preghiera è già stata esaudita e noi rendiamo grazie perché, come dice san Paolo nella Lettera
agli Efesini: “Cristo ti illuminerà” (5,14), e san Pietro aggiunge: “Egli vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1 Pt 2,9). A noi che non siamo la luce, Cristo può ormai dire: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14), affidandoci la cura di fare risplendere la luce della carità. Come scrive l’apostolo san Giovanni: “Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione di inciampo” (1 Gv 2,10). Vivere l’amore cristiano è fare entrare la luce di Dio nel mondo e, insieme, indicarne la vera sorgente. San Leone Magno scrive: “Chiunque, in effetti, vive piamente e castamente nella Chiesa, chi pensa alle cose di lassù, non a quelle della terra (cfr Col 3,2), è in certo modo simile alla luce celeste; mentre realizza egli stesso lo splendore di una vita santa, indica a molti, come una stella, la via che conduce a Dio” (Serm. III, 5).
In questo santuario di Lourdes, verso il quale i cristiani del mondo intero rivolgono lo sguardo da quando la Vergine Maria vi ha fatto brillare la speranza e l’amore, donando ai malati, ai poveri e ai piccoli il primo posto, siamo invitati a scoprire la semplicità della nostra vocazione: in realtà, basta amare. Domani la celebrazione dell’Esaltazione della Santa Croce ci farà precisamente entrare nel cuore di questo mistero. In questa veglia, il nostro sguardo già si volge verso il segno della nuova Alleanza verso cui tutta la vita di Gesù converge. La Croce costituisce il supremo e perfetto atto d’amore di Gesù, che dona la vita per i suoi amici. “Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15). Annunciata nei Canti del Servo di Dio, la morte di Gesù è una morte che diviene luce per i popoli; è una morte che, in collegamento con la liturgia di espiazione, porta la riconciliazione, una morte che segna la fine della morte. Da allora la Croce è segno di speranza, vessillo della vittoria di Gesù, perché “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”(Gv 3,16). Attraverso la Croce tutta la nostra vita riceve luce, forza e speranza. Con essa è rivelata tutta la profondità dell’amore contenuto nel disegno originario del Creatore; con essa, tutto è sanato e portato al suo compimento. E’ per questo che la vita nella fede in Cristo morto e risorto diviene luce.
Le apparizioni erano circonfuse di luce e Dio ha voluto accendere nello sguardo di Bernadette una fiamma che ha convertito innumerevoli cuori. Quante persone vengono qui per vedere, sperando forse segretamente di ricevere qualche miracolo; poi, sulla via del ritorno, avendo fatto un’esperienza spirituale di vita autenticamente ecclesiale, cambiano il loro sguardo su Dio, sugli altri e su se medesime. Una piccola fiamma chiamata speranza, compassione, tenerezza le abita.
L’incontro discreto con Bernadette e con la Vergine Maria può cambiare una vita, perché esse sono presenti, in questo luogo di Massabielle, per condurci a Cristo, il quale è la nostra vita, la nostra forza, la nostra luce. Che la Vergine Maria e santa Bernadette vi aiutino a vivere da figli della luce per testimoniare, ogni giorno della vostra vita, che Cristo è la nostra luce, la nostra speranza, la nostra vita!
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]

mercoledì 3 settembre 2008

L'incontro con Vicky al Meeting di Rimini

Sono stato la scorsa settimana tre giorni a Rimini al Meeting.
Grandi e interessanti incontri. Tra gli altri ho ascoltato i ministri Alfano, Sacconi e Frattini.
Ma la protagonista del Meeting è stata Vicky e su questo articolo di Piero Vietti, pubblicato sul Foglio c'è tutta la sua storia. Tra l'altro ho visitato la mostra sulle carceri, altro pezzo forte del Meeting 2008, proprio coontemporaneamente a Vicky, e qui ci sono le mie foto.
Pubblico anche la testimonianza di un carcerato letta davanti all'ampia platea del Meeting.


Il segreto del Meeting di Rimini è che Vicky c’è, ha l’Hiv ed è bellissima
Rimini. Mentre in Auditorium si presenta il libro di Luigi Giussani “Uomini senza Patria”, si chiude il Meeting intitolato “O protagonisti o nessuno”. Vivendolo e parlando con chi racconta il suo lavoro in questi giorni, emerge come il Meeting sia innanzitutto luogo di educazione di un popolo. Giussani diceva che l’educazione è introduzione alla realtà totale: venerdì quasi mille persone hanno affollato un salone per sentire una serenata di Dvorák spiegata da un professore, mentre nella sala accanto altrettanti sentivano discutere di regole del mercato. Poco prima un professore anglicano aveva presentato un libro del cattolico Chesterton sull’eugenetica e un’ora dopo un gruppo di musicisti di Napoli avrebbe spiegato l’influenza della canzone napoletana su Mozart. Nel frattempo ogni dieci minuti partivano visite guidate per spiegare a centinaia di persone le conquiste dei portoghesi nel 1500, le opere di Guareschi o la Primavera di Praga. Impressiona la quantità di realtà e di fatti su cui si tenta di dare un giudizio con mostre e incontri. E come sia un luogo di incontro vero tra persone da tutto il mondo. Forse mai come quest’anno non è stata la politica a farla da padrona. Incontri e storie come quella di don Aldo Trento (pubblicata ieri dal Foglio) hanno riempito i saloni. Martedì pomeriggio ha parlato Vicky Aryenyo, donna dell’Uganda sulla cui storia Emmanuel Exitu ha girato un film premiato da Spike Lee a Cannes: “Greater”.
Vicky viveva a Kampala con il marito e due figli. Durante la terza gravidanza suo marito le chiede di abortire e minaccia di lasciarla se terminerà la gestazione. Vicky non capisce, pensa a uno scherzo. Il terzo figlio nasce e il marito la abbandona. Lei lavora in un ospedale e prova ad andare avanti da sola. A quattro anni, nel 1996, il figlio più piccolo si ammala di tubercolosi. I medici pensano sia un problema di alimentazione e lo rimandano a casa. Poi Vicky è colpita da una forma grave di erpes, ma i medici minimizzano: tutti l’hanno avuto. Nel giro di un anno è sempre più stanca, sta male, smette di lavorare e un giorno, a casa, cade a terra. Si sveglia in ospedale, i medici le fanno il test dell’Hiv: è positiva. “Perché io? – si chiede nel letto circondato da malati che muoiono uno dopo l’altro – Sono sempre stata fedele a mio marito”. Capisce allora che il marito le chiedeva di abortire perché sapeva della malattia. Quando Vicky esce dall’ospedale il figlio peggiora: anche lui è positivo all’Hiv. Tra il 1998 e il 2001 è come se vivesse in un altro mondo pur restando in questo.
Gli amici e i parenti li abbandonano, i figli più grandi lasciano la scuola per portare soldi a casa. Nel 2001 alcuni volontari dell’International Meeting Point vanno a casa sua, dicono che possono aiutarla. Vicky non ci crede: “Perché se i miei amici non mi aiutano più dovrebbe farlo della gente che non conosco?”. Anche il terzo figlio lascia la scuola: la maestra e i compagni lo chiamano “scheletro”. L’unica reazione di Vicky è il pianto, il cuscino che assorbe le sue lacrime. Tornano quelli del Meeting Point, tra loro c’è Rose Busingye, un’infermiera che lavora lì. Dal naso e dalla bocca di Vicky esce pus in continuazione, i piedi sono piagati, il suo corpo vivo ma quasi in putrefazione. Rose le si siede accanto. Vicky si vergogna del suo odore, si sposta. Rose le si risiede accanto. E così altre tre, quattro volte. Rose le dice: “Se non vuoi venire tu al Meeting Point lascia che ci venga tuo figlio: ha una vita che può ancora vivere”. Vicky rifiuta, ma la frase le rimane in testa. Un giorno va al Meeting Point. Quando entra vede molti malati come lei. Stanno ballando. Di sicuro ha sbagliato posto, si dice, non è possibile che un malato possa ballare e sorridere, essere felice. Torna a casa. Dopo un po’ suo figlio comincia le cure al Meeting Point, lei ogni tanto ci va, ma resta in disparte.
Un giorno Rose la invita nel suo ufficio. “Vicky – le dice, guardandola negli occhi – tu hai un valore, e questo valore è più grande del valore della tua malattia. Ce la puoi fare, hai solo bisogno di ritrovare la speranza. Devi vivere per vedere i tuoi figli crescere”. Poi silenzio. Rose la guarda. Più tardi, a casa, Vicky ha ancora quegli occhi addosso, in testa, nel cuore. Continua a sentire quelle frasi. Da quando ha scoperto la malattia sono le prime parole di speranza che sente. Nessuno l’aveva mai trattata così. Comincia ad andare al Meeting Point, inizia la terapia. Rose non le ripeterà mai più quelle parole, ma è come se lo facesse in continuazione, con quello sguardo. Vicky capisce che anche lei può vivere, non importa in quale condizione. “Se Rose mi guarda in questo modo – si chiede – come sarà il volto di Dio?”. Ma capisce che Dio la guarda attraverso il volto di Rose, che “il volto di Dio era sul volto di Rose. E’ Cristo che è venuto da me”. La terapia prosegue, i tre figli tornano a scuola. Lei e il piccolo stanno sempre meglio. Perché hanno fatto un grande incontro su cui possono appoggiarsi, dice. “Lasciamo stare Lazzaro che è resuscitato tanti anni fa. Se non avete mai visto un miracolo, sono io, eccomi qua. Perché ero morta”.
Oggi Vicky è una donna bellissima, “libera”, dice di sé: “Quando moriremo, io e mio figlio moriremo come tutti, non schiavi del virus”. Ha perdonato suo marito e ha imparato a dire “sì” a quello che succede, a portare il peso della malattia che sa che non porta da sola: “Cl è una cosa viva, non un’associazione, e don Carron (il responsabile di Cl, ndr) è padre della mia speranza”. Il giorno dopo il suo incontro al Meeting è andata a visitare la mostra sul carcere, dove alcuni detenuti incontrano i visitatori e offrono panettoni cucinati da loro. Vicky, abbracciandoli uno a uno, ha detto loro che anche la sua malattia è una condanna, una prigione, ma che lei è libera. Come dicono quei detenuti. Che già oggi saranno a Padova, nel carcere di massima sicurezza in cui scontano la loro pena. Dove, dice uno di loro, “non vedo l’ora di tornare per raccontare a tutti quello che ho incontrato qui”. Perché “la conoscenza è sempre un avvenimento”, e non a caso sarà anche il titolo del Meeting 2009.
Piero Vietti







martedì 2 settembre 2008

Prescrizione per i reati Eternit !

Erano accusati e sono stati processati per omicidio colposo ma per i fratelli Thomas e Stephan Schmidheiny è scattata la prescrizione.
Il Tribunale federale ha respinto quanto richiesto dai parenti delle vittime dell'amianto, morti di cancro dopo aver lavorato nella fabbrica che produceva il terribile Eternit.
Questo conferma una prima sentenza che aveva già chiuso il caso.
I responsabili della fabbrica non possono essere puniti perché l'aieda Eternit ha cessato la produzione di amianto nel 1994.

Tratto da http://www.tsr.ch/tsr/index.html?siteSect=200002&sid=9619432&cKey=1219841174000

lunedì 1 settembre 2008

Tanto poi chi si conquista l'olimpiade resta a casa...


Il Decreto Legge che entra in vigore oggi n.112/08 assegna al Comitato Italiano Paraolimpico (articolo 63, comma 9-bis) un incremento di 3 milioni di euro dall'anno dal 2008 al 2010. Pertanto il contributo al Comitato Italiano Paraolimpico (CIP) previsto dalla Finanziaria 2006 (ove in verità si abbassava la quota di 500.000 euro annui) cresce ora di tre milioni.

Tanto poi chi si conquista l'olimpiade (con i minimi richiesti) resta a casa...

Vero Carmen?

sabato 14 giugno 2008

L'eternit lascia il posto ai pannelli solari


L'eternit lascia il posto ai pannelli solari
di Anna Pullace
La Regione Toscana finanzia e coordina un progetto per sostituire i vecchi tetti in eternit delle case popolari con pannelli fotovoltaici che producono energia pulita.
Lo ha annunciato l’assessore regionale alla casa Eugenio Baronti, spiegando che l’operazione avrà un costo pari a zero, grazie al fatto che i pannelli solari producono energia elettrica che, venduta, genera un ritorno economico, permettendo di coprire le spese sostenute.
L’iniziativa prevede l’intervento su circa 130 edifici di proprietà pubblica, per una copertura totale di 130mila metri quadrati.
I lavori sono già stati effettuati su 26 palazzi, di cui 24 nell’area di Firenze e 2 nella zona di Massa-Carrara, e si concluderanno nel giro di 3 anni.
L’operazione è molto importante sia dal punto di vista ambientale ed ecologico che per quello economico. Anzitutto per la bonifica dei tetti delle case popolari della Toscana, molti dei quali realizzati in eternit che, come è noto, è composta da amianto, materiale dannoso per la salute.
La sostituzione delle coperture in eternit con pannelli fotovoltaici consente, poi, la produzione di energia pulita, senza emissioni inquinanti nell’atmosfera. E’ stato calcolato che grazie a questi dispositivi sarà evitata l’emissione di 3,5mila tonnellate di Co2 all’anno. Per quanto riguarda il rendimento economico, i pannelli fotovoltaici installati sui 130 palazzi produrranno, in un anno, 5,5 milioni di kilowattora, consentendo il risparmio di oltre 8mila barili di petrolio.
In aggiunta, la vendita dell’energia elettrica prodotta farà guadagnare 64 milioni di euro in 20 anni, cifra sufficiente a coprire i costi dell’intera operazione, comprensivi di rimozione e smaltimento dell’eternit e installazione dei pannelli solari.
Un applauso alla giunta della regione Toscana.
Speriamo che qualche politico locale legga e faccia "sua" quest'idea!
Lo voteremmo poi volentieri...

sabato 17 maggio 2008

La benedizione delle case arriverà solo con la prenotazione?

Un'altra notizia che mi crea sgomento. Sono atterrito.
Un'altra angheria sta per sbattere contro a noi cristiani.
La leggo sulla homepage di www.zenit.org

ROMA, venerdì, 16 maggio 2008 (ZENIT.org).- La Corte Europea con sentenza del 21 febbraio scorso ha condannato la Grecia per aver costretto l'avvocato Arret Alexandridis a manifestare i propri convincimenti religiosi in occasione della prestazione del giuramento previsto per l'inizio della sua attività forense (la formula del giuramento, infatti, era predisposta in modo tale da far supporre che il giurante fosse di fede cristiano-ortodossa).
La sentenza rende palese la violazione del diritto di libertà religiosa da parte delle varie confessioni religiose a cominciare dai preti della Chiesa cattolica che, durante il periodo pasquale, si presentano alle case per benedirle.
Sulla base di questa sentenza dal Ministero dell'Interno dovrebbero essere inoltrate diffide alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) affinché si astengano dall’esercitare simili pratiche, con minaccia di azioni legali per il ristoro del danno derivante dalla lesione del diritto di libertà religiosa (la CEDU ha liquidato 2.000 euro, nel caso di specie).
Contrariamente, c'è il rischio che ogni cittadino possa sporgere denuncia penale contro qualsiasi prete della Chiesa cattolica che si presentasse alla porta.


L'articolo nella sua interezza è qui http://www.zenit.org/article-14397?l=italian
Quando ci obbligheranno a murarci vivi nelle nostre case e a tagliarci la lingua?

giovedì 15 maggio 2008

Mons. Alceste Catella è il nuovo vescovo di Casale Monferrato


per ulteriori informazioni su www.vitacasalese.it








da www.vitacasalese.it (ove vi sono ulteriori approfondimenti)

IL PRIMO SALUTO ALLA DIOCESI
Carissimi,
è incontenibile il desiderio del cuore di inviare a tutti voi diocesani di Casale Monferrato il mio più affettuoso saluto. Vorrei essere capace di raggiungervi tutti e di abbracciarvi uno per uno per esprimervi quell’affetto che ho cominciato a nutrire per voi fin dal primo momento nel quale ho appreso che la volontà di Dio – espressa attraverso l’invito dell’amato papa Benedetto XVI – mi chiamava a venire tra voi; ad essere “un vescovo per voi, cristiano come voi”…
Voi potete ben immaginare la mia trepidazione nell’accogliere il compito che mi viene ora affidato; la parola fraterna del mio carissimo Vescovo mi ha incoraggiato, invitandomi a pregare con le parole del salmo: “Iacta cogitatm tuum in Domino” “Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno” (Sal 55/54,23).
Mi rivolgo in maniera particolare a voi carissimi sacerdoti e fin d’ora vi dichiaro la mia stima e la mia fiducia; fin d’ora vi chiedo di compatirmi e di aiutarmi; da solo non sono davvero nulla, con voi potremo, certamente, fare del nostro meglio per la gloria di Dio e per il bene del popolo che ci è affidato. Egualmente mi rivolgo ai diaconi, ai religiosi ed alle religiose: siamo chiamati a vivere in pienezza la nostra vocazione ed i nostri peculiari carismi e così edificare il Corpo di Cristo che è la Chiesa. Un saluto ed un grazie alle sorelle ed ai fratelli che nella nostra Chiesa donano intelligenza, cuore, operosità nei diversi ambiti della pastoralità: nella catechesi, nell’animazione della liturgia, nel campo vasto e complesso della carità, nella pastorale giovanile, familiare, missionaria…
Ed un particolare ricordo va al “Gruppo Assistenti Pastorali”, quella che Mons. Cavalla definiva – nel 1980 – “una grande speranza per l’avvenire della nostra Chiesa” è divenuta, nel tempo, una confortante realtà.
Al carissimo Mons. Antonio Gennaro – Amministratore Diocesano – che con tanta sapienza ha guidato la Chiesa casalese in questi mesi, un grazie grande da tutti i casalesi e – da parte mia – la richiesta di continuare a starmi accanto. Insieme con lui saluto e ringrazio quanti operano nella Curia vescovile. Un particolare saluto al Venerando Capitolo Cattedrale nonché al Collegio dei Consultori.
Un saluto deferente e grato rivolgo a tutte le Autorità civili, giudiziarie, militari. Offro la sincera volontà di collaborare con voi – pur nella dovuta distinzione degli ambiti e nella necessaria autonomia – al conseguimento del bene comune della popolazione cui siamo chiamati a rendere il nostro servizio.
Desidero dire la mia vicinanza alle famiglie – alle mamme, ai papà – impegnati nell’arduo ed esaltante compito di educare, di trasmettere la vita ed insieme quei valori umani e cristiani che la rendono degna di essere vissuta. Sono vicino alle famiglie in difficoltà: non ho in animo d’essere giudice di nessuno, bensì fratello che vuole aiutare e sanare ferite e lacerazioni.
A voi giovani, che cosa dire? Troviamoci, incontriamoci, conosciamoci ed insieme confrontiamo i diversi “progetti di vita”; vorrei essere capace con la parola e con la testimonianza di farvi innamorare di Cristo e del suo “progetto di vita”... Aiutatemi in questo compito!
Alle persone sole, anziane, ammalate giunga la mia solidarietà e il desiderio di fare quanto è possibile perché le comunità cristiane “non voltino la testa dall’altra parte” ma sappiano essere accoglienti e vicine.
Un saluto colmo di affetto e di rispetto desidero rivolgere ai membri dell’antica comunità ebraica che vive in Casale.
Sorelle e fratelli a noi uniti dalla comune fede in Cristo, cerchiamo, davvero, più ciò che ci unisce che non quanto può dividere.
Il mio pensiero ed il mio affetto si rivolgono alle donne ed agli uomini che, provenienti da altre terre, altre culture, altre religioni - vivono nella nostra terra; saremo sempre pronti a tutelare la vostra dignità e ad accogliere la lezione che ci viene dalle multiformi maniere di intendere e di vivere i fondamentali valori umani.
Vorrei raggiungere con il mio saluto anche quanti non credono, quanti sono in ricerca: carissimi, busso con discrezione e rispetto alla vostra porta; sono “il cammino con voi”, dato che un credente non è uno “già arrivato”.
Come potrei, carissimi, in questo momento non andare con il pensiero e con l’affettuoso ricordo al carissimo ed indimenticabile mons. Germano Zaccheo? Come non chiedergli di essere ancora vicino a noi come lo è stato negli anni fecondi del suo ministero. So bene di quanto affetto lo avete circondato e quanto dolore ha suscitato la sua improvvisa scomparsa; condivido questo affetto, partecipo di questo dolore nella certezza di fede che egli è più presente che mai ed ancora ama e protegge la Chiesa casalese.
La penultima volta che ebbi la fortuna di incontrarlo fu nel mese di luglio dello scorso anno, al Santuario di Oropa. Era una splendida giornata ed Oropa era “presa d’assalto” da una moltitudine di fanciulli provenienti da tante parrocchie della Diocesi; i fanciulli indossavano dei foulards di tanti e diversificati colori; ed in mezzo a quel “coloratissimo giovane popolo” stava lui. Lui il pastore affettuoso che con loro gioiva, pregava, aiutava ad ascoltare ed a comprendere la Parola di Dio. Eccola la santa Chiesa casalese! Eccola nelle sue diverse età, vocazioni, compiti, associazioni, gruppi, movimenti… Ed in mezzo a noi il vero ed unico vero Pastore, il Signore Gesù e vi chiedo di fare un po’ di spazio anche a me – che sacramentalmente rendo presente il Signore -; vedrò di non essere “neutro”, ma di portare un po’ di “colore” perché la nostra Chiesa sia giovane e smagliante! Vengo da Oropa e giungo a Crea; dunque non esco dalla “casa della Madre”: presso di Lei mi rifugio e chiedo la sua intercessione, insieme a quella di Sant’Evasio nostro Patrono.
Su tutti invoco la benedizione del padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Biella 15 maggio 2008
+ Alceste Catella, Vescovo eletto di Casale Monferrato

lunedì 28 aprile 2008

Giornata Mondiale Vittime dell'amianto

Questo piccolo contributo a favore della lunga e dura battaglia contro l'amianto nasce da un dovere, prima ancora che etico, di "casalesità".
Siamo diversi bloggers che gestiscono i propri spazi su internet nella maniera più eterogenea possibile gli uni rispetto agli altri, ma una cosa in comune l'abbiamo: siamo nati e cresciuti a Casale Monferrato con i nonni che parlavano della "polvere", con i genitori che ci hanno spiegato cos'era realmente e con la triste prospettiva di essere noi a doverlo spiegare un domani ai nostri figli.
Abbiamo visto parenti, amici o semplici conoscenti andarsene per colpa di quella maledetta fabbrica e dell'eredità che ha lasciato nell'aria, sui tetti, nelle tubature, ma quello che é peggio é che dopo ogni lutto ci si chiede: chi sarà il prossimo ?

www.canateam.net
spillamy.splinder.com
ilricciolo.blogspot.com
ilrusso.blogspot.com
remofragolino.blogspot.com
televideos.blogspot.com

Insieme. Per Casale.


Dal 1907 al 1986 a Casale Monferrato ha operato la multinazionale Eternit, specializzata nella produzione di prodotti in cemento amianto per l'edilizia.
L'esposizione alle fibre aerodisperse dell'asbesto (amianto) provoca, oltre all'asbestosi, diverse tipologie tumorali fra le quali la più frequente é il mesotelioma pleurico, privo di cura, la cui incubazione può variare dai 15 ai 45 anni.
In Italia l'impiego dell'amianto é stato messo fuorilegge solo nel 1992; a Casale Monferrato l'amianto, secondo l'indagine del Procuratore della Repubblica di Torino Raffaele Guariniello, ha già ucciso, ad oggi, 1.400 persone fra le quali 900 ex lavoratori dello stabilimento Eternit e 500 cittadini.
L'amianto é stato utilizzato nella fabbricazione di materiali isolanti, nella sostituzione di freni e frizioni, per alcune plastiche rinforzate e vernici, nei prodotti di cemento amianto per l'edilizia (condutture dell'acqua, tetti, canne fumarie): solo nella città di Casale oggi si stimano ancora 800.000 metri quadri di coperture da bonificare.
Recentemente è stato valutato che i casi di mesotelioma pleurico e malattie derivanti dall'amianto aumenteranno progressivamente fino a raggiungere un picco che vedrà il suo culmine fra il 2015 ed il 2020. NON LASCIATECI SOLI.

sabato 5 aprile 2008

MATRIMONIO E FAMIGLIA

DISCORSO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE

Signori Cardinali,venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,cari fratelli e sorelle!E’ con grande gioia che mi incontro con voi in occasione del Congresso Internazionale "L’olio sulle ferite". Una risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio, promosso dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, in collaborazione con i Knights of Columbus. Mi compiaccio con voi per la tematica che è oggetto delle vostre riflessioni di questi giorni, quanto mai attuale e complessa, e in particolare per il riferimento alla parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37), che avete scelto come chiave per accostarvi alle piaghe dell’aborto e del divorzio, le quali tanta sofferenza comportano nella vita delle persone, delle famiglie e della società. Sì, davvero gli uomini e le donne dei nostri giorni si trovano talvolta spogliati e feriti, ai margini delle strade che percorriamo, spesso senza che nessuno ascolti il loro grido di aiuto e si accosti alla loro pena, per alleviarla e curarla. Nel dibattito, spesso puramente ideologico, si crea nei loro confronti una specie di congiura del silenzio. Solo nell’atteggiamento dell’amore misericordioso ci si può avvicinare per portare soccorso e permettere alle vittime di rialzarsi e di riprendere il cammino dell’esistenza.In un contesto culturale segnato da un crescente individualismo, dall’edonismo e, troppo spesso, anche da mancanza di solidarietà e di adeguato sostegno sociale, la libertà umana, di fronte alle difficoltà della vita, è portata nella sua fragilità a decisioni in contrasto con l’indissolubilità del patto coniugale o con il rispetto dovuto alla vita umana appena concepita ed ancora custodita nel seno materno. Divorzio e aborto sono scelte di natura certo differente, talvolta maturate in circostanze difficili e drammatiche, che comportano spesso traumi e sono fonte di profonde sofferenze per chi le compie. Esse colpiscono anche vittime innocenti: il bambino appena concepito e non ancora nato, i figli coinvolti nella rottura dei legami familiari. In tutti lasciano ferite che segnano la vita indelebilmente. Il giudizio etico della Chiesa a riguardo del divorzio e dell’aborto procurato è chiaro e a tutti noto: si tratta di colpe gravi che, in misura diversa e fatta salva la valutazione delle responsabilità soggettive, ledono la dignità della persona umana, implicano una profonda ingiustizia nei rapporti umani e sociali e offendono Dio stesso, garante del patto coniugale ed autore della vita. E tuttavia la Chiesa, sull’esempio del suo Divino Maestro, ha sempre di fronte le persone concrete, soprattutto quelle più deboli e innocenti, che sono vittime delle ingiustizie e dei peccati, ed anche quegli altri uomini e donne, che avendo compiuto tali atti si sono macchiati di colpe e ne portano le ferite interiori, cercando la pace e la possibilità di una ripresa.A queste persone la Chiesa ha il dovere primario di accostarsi con amore e delicatezza, con premura e attenzione materna, per annunciare la vicinanza misericordiosa di Dio in Gesù Cristo. E’ lui infatti, come insegnano i Padri, il vero Buon Samaritano, che si è fatto nostro prossimo, che versa l’olio e il vino sulle nostre piaghe e che ci conduce nella locanda, la Chiesa, in cui ci fa curare, affidandoci ai suoi ministri e pagando di persona in anticipo per la nostra guarigione. Sì, il vangelo dell’amore e della vita è anche sempre vangelo della misericordia, che si rivolge all’uomo concreto e peccatore che noi siamo, per risollevarlo da qualsiasi caduta, per ristabilirlo da qualsiasi ferita. Il mio amato predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, di cui abbiamo appena celebrato il terzo anniversario della morte, inaugurando il nuovo santuario della Divina Misericordia a Cracovia ebbe a dire: «Non esiste per l’uomo altra fonte di speranza, al di fuori della misericordia di Dio» (17 agosto 2002). A partire da questa misericordia la Chiesa coltiva un’indomabile fiducia nell’uomo e nella sua capacità di riprendersi. Essa sa che, con l’aiuto della grazia, la libertà umana è capace del dono di sé definitivo e fedele, che rende possibile il matrimonio di un uomo e una donna come patto indissolubile, che la libertà umana anche nelle circostanze più difficili è capace di straordinari gesti di sacrificio e di solidarietà per accogliere la vita di un nuovo essere umano. Così si può vedere che i "no" che la Chiesa pronuncia nelle sue indicazioni morali e sui quali talvolta si ferma in modo unilaterale l’attenzione dell’opinione pubblica, sono in realtà dei grandi "sì" alla dignità della persona umana, alla sua vita e alla sua capacità di amare. Sono l’espressione della fiducia costante che, nonostante le loro debolezze, gli esseri umani sono in grado di corrispondere alla altissima vocazione per cui sono stati creati: quella di amare.In quella stessa occasione, Giovanni Paolo II proseguiva: «Bisogna trasmettere al mondo questo fuoco della misericordia. Nella misericordia di Dio il mondo troverà la pace». Si innesta qui il grande compito dei discepoli del Signore Gesù, che si trovano compagni di cammino con tanti fratelli, uomini e donne di buona volontà. Il loro programma, il programma del buon samaritano, è «un cuore che vede. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente» (Enc. Deus caritas est, 31). In questi giorni di riflessione e di dialogo vi siete chinati sulle vittime colpite dalle ferite del divorzio e dell’aborto. Avete innanzitutto constatato le sofferenze, talvolta traumatiche, che colpiscono i cosiddetti "figli del divorzio", segnando la loro vita fino a renderne molto più difficile il cammino. E’ infatti inevitabile che quando si spezza il patto coniugale ne soffrano soprattutto i figli, che sono il segno vivente della sua indissolubilità. L’attenzione solidale e pastorale dovrà quindi mirare a far sì che i figli non siano vittime innocenti dei conflitti tra i genitori che divorziano, che sia per quanto possibile assicurata la continuità del legame con i loro genitori ed anche quel rapporto con le proprie origini familiari e sociali che è indispensabile per una equilibrata crescita psicologica e umana.Avete anche volto la vostra attenzione al dramma dell’aborto procurato, che lascia segni profondi, talvolta indelebili nella donna che lo compie e nelle persone che la circondano, e che produce conseguenze devastanti sulla famiglia e sulla società, anche per la mentalità materialistica di disprezzo della vita, che favorisce. Quante egoistiche complicità stanno spesso alla radice di una decisione sofferta che tante donne hanno dovute affrontare da sole e di cui portano nell’animo una ferita non ancora rimarginata! Benché quanto compiuto rimanga una grave ingiustizia e non sia in sé rimediabile, faccio mia l’esortazione rivolta, nell’Enciclica Evangelium vitae, alle donne che hanno fatto ricorso all’aborto: "Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l'avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino" (n. 99).Esprimo profondo apprezzamento a tutte quelle iniziative sociali e pastorali che sono rivolte alla riconciliazione e alla cura delle persone ferite dal dramma dell’aborto e del divorzio. Esse costituiscono, insieme con tante altre forme di impegno, elementi essenziali per la costruzione di quella civiltà dell’amore, di cui mai come oggi l’umanità ha bisogno.Nell’implorare dal Signore Dio misericordioso che vi assimili sempre più a Gesù, Buon Samaritano, perché il suo Spirito vi insegni a guardare con occhi nuovi la realtà dei fratelli che soffrono, vi aiuti a pensare con criteri nuovi e vi spinga ad agire con slancio generoso nella prospettiva di un’autentica civiltà dell’amore e della vita, a tutti imparto una speciale Benedizione Apostolica.
Sala Stampa Vaticana

lunedì 25 febbraio 2008


Il Papa ha ricevuto in Vaticano in udienza i partecipanti al Congresso sul tema "Accanto al malato inguaribile e al morente: orientamenti etici ed operativi", indetto dalla Pontificia Accademia per la Vita in occasione della XIV Assemblea generale dell'Accademia.
Ecco il suo splendido discorso:

Cari fratelli e sorelle,
con viva gioia porgo il mio saluto a voi tutti che partecipate al Congresso indetto dalla Pontificia Accademia per la Vita sul tema "Accanto al malato inguaribile e al morente: orientamenti etici ed operativi". Il Congresso si svolge in connessione con la XIV Assemblea Generale dell'Accademia, i cui membri sono pure presenti a questa Udienza. Ringrazio anzitutto il Presidente Mons. Sgreccia per le sue cortesi parole di saluto; con lui ringrazio la Presidenza tutta, il Consiglio Direttivo della Pontificia Accademia, tutti i collaboratori e i membri ordinari, onorari e corrispondenti. Un saluto cordiale e riconoscente voglio poi rivolgere ai relatori di questo importante Congresso, così come a tutti i partecipanti provenienti da diversi Paesi del mondo. Carissimi, il vostro generoso impegno e la vostra testimonianza sono veramente meritevoli di encomio.
Già semplicemente considerando i titoli delle relazioni congressuali, si può percepire il vasto panorama delle vostre riflessioni e l'interesse che esse rivestono per il tempo presente, in special modo nel mondo secolarizzato di oggi. Voi cercate di dare risposte ai tanti problemi posti ogni giorno dall'incessante progresso delle scienze mediche, le cui attività risultano sempre più sostenute da strumenti tecnologici di elevato livello. Di fronte a tutto questo, emerge l'urgente sfida per tutti, e in special modo per la Chiesa, vivificata dal Signore risorto, di portare nel vasto orizzonte della vita umana lo splendore della verità rivelata e il sostegno della speranza.
Quando si spegne una vita in età avanzata, o invece all'alba dell'esistenza terrena, o nel pieno fiorire dell'età per cause impreviste, non si deve vedere in ciò soltanto un fatto biologico che si esaurisce, o una biografia che si chiude, bensì una nuova nascita e un'esistenza rinnovata, offerta dal Risorto a chi non si è volutamente opposto al suo Amore. Con la morte si conclude l'esperienza terrena, ma attraverso la morte si apre anche, per ciascuno di noi, al di là del tempo, la vita piena e definitiva. Il Signore della vita è presente accanto al malato come Colui che vive e dona la vita, Colui che ha detto: "Sono venuto perchè abbiamo la vita e l'abbiamo in abbondanza" (Gv 10,10), "Io sono la Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se muore vivrà, (Gv 10,25) e "Io lo resusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6,54). In quel momento solenne e sacro, tutti gli sforzi compiuti nella speranza cristiana per migliorare noi stessi e il mondo che ci è affidato, purificati dalla Grazia, trovano il loro senso e si impreziosiscono grazie all'amore di Dio Creatore e Padre. Quando, al momento della morte, la relazione con Dio si realizza pienamente nell'incontro con "Colui che non muore, che è la vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita; allora viviamo" (Benedetto XVI, Spe salvi, 27). Per la comunità dei credenti, questo incontro del morente con la Sorgente della Vita e dell'Amore rappresenta un dono che ha valore per tutti, che arricchisce la comunione di tutti i fedeli. Come tale, esso deve raccogliere l'attenzione e la partecipazione della comunità, non soltanto della famiglia dei parenti stretti, ma, nei limiti e nelle forme possibili, di tutta la comunità che è stata legata alla persona che muore. Nessun credente dovrebbe morire nella solitudine e nell'abbandono. Madre Teresa di Calcutta aveva una particolare premura di raccogliere i poveri e i derelitti, perché almeno nel momento della morte potessero sperimentare, nell'abbraccio delle sorelle e dei fratelli, il calore del Padre.
Ma non è soltanto la comunità cristiana che, per i suoi particolari vincoli di comunione soprannaturale, è impegnata ad accompagnare e celebrare nei suoi membri il mistero del dolore e della morte e l'alba della nuova vita. In realtà, tutta la società mediante le sue istituzioni sanitarie e civili è chiamata a rispettare la vita e la dignità del malato grave e del morente. Pur nella consapevolezza del fatto che "non è la scienza che redime gli uomini" (Benedetto XVI, Spe salvi, 26), la società intera e in particolare i settori legati alla scienza medica sono tenuti ad esprimere la solidarietà dell'amore, la salvaguardia e il rispetto della vita umana in ogni momento del suo sviluppo terreno, soprattutto quando essa patisce una condizione di malattia o è nella sua fase terminale. Più in concreto, si tratta di assicurare ad ogni persona che ne avesse bisogno il sostegno necessario attraverso terapie e interventi medici adeguati, individuati e gestiti secondo i criteri della proporzionalità medica, sempre tenendo conto del dovere morale di somministrare (da parte del medico) e di accogliere (da parte del paziente) quei mezzi di preservazione della vita che, nella situazione concreta, risultino "ordinari". Per quanto riguarda, invece, le terapie significativamente rischiose o che fossero prudentemente da giudicare "straordinarie", il ricorso ad esse sarà da considerare moralmente lecito ma facoltativo. Inoltre, occorrerà sempre assicurare ad ogni persona le cure necessarie e dovute, nonché il sostegno alle famiglie più provate dalla malattia di uno dei loro componenti, soprattutto se grave e prolungata. Anche sul versante della regolamentazione del lavoro, solitamente si riconoscono dei diritti specifici ai familiari al momento di una nascita; in maniera analoga, e specialmente in certe circostanze, diritti simili dovrebbero essere riconosciuti ai parenti stretti al momento della malattia terminale di un loro congiunto. Una società solidale ed umanitaria non può non tener conto delle difficili condizioni delle famiglie che, talora per lunghi periodi, devono portare il peso della gestione domiciliare di malati gravi non autosufficienti. Un più grande rispetto della vita umana individuale passa inevitabilmente attraverso la solidarietàs concreta di tutti e di ciascuno, costituendo una delle sfide più urgenti del nostro tempo.
Come ho ricordato nell'Enciclica Spe salvi, "la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana" (n. 38). In una società complessa, fortemente influenzata dalle dinamiche della produttività e dalle esigenze dell'economia, le persone fragili e le famiglie più povere rischiano, nei momenti di difficoltà economica e/o di malattia, di essere travolte. Sempre più si trovano nelle grandi città persone anziane e sole, anche nei momenti di malattia grave e in prossimità della morte. In tali situazioni, le spinte eutanasiche diventano pressanti, soprattutto quando si insinui una visione utilitaristica nei confronti della persona. A questo proposito, colgo l'occasione per ribadire, ancora una volta, la ferma e costante condanna etica di ogni forma di eutanasia diretta, secondo il plurisecolare insegnamento della Chiesa.
Lo sforzo sinergico della società civile e della comunità dei credenti deve mirare a far sì che tutti possano non solo vivere dignitosamente e responsabilmente, ma anche attraversare il momento della prova e della morte nella migliore condizione di fraternità e di solidarietà, anche là dove la morte avviene in una famiglia povera o nel letto di un ospedale. La Chiesa, con le sue istituzioni già operanti e con nuove iniziative, è chiamata ad offrire la testimonianza della carità operosa, specialmente verso le situazioni critiche di persone non autosufficienti e prive di sostegni familiari, e verso i malati gravi bisognosi di terapie palliative, oltre che di appropriata assistenza religiosa. Da una parte, la mobilitazione spirituale delle comunità parrocchiali e diocesane e, dall'altra, la creazione o qualificazione delle strutture dipendenti dalla Chiesa, potranno animare e sensibilizzare tutto l'ambiente sociale, perché ad ogni uomo che soffre e in particolare a chi si avvicina al momento della morte, siano offerte e testimoniate la solidarietà e la carità. La società, per parte sua, non può mancare di assicurare il debito sostegno alle famiglie che intendono impegnarsi ad accudire in casa, per periodi talora lunghi, malati afflitti da patologie degenerative (tumorali, neurodegenerative, ecc.) o bisognosi di un'assistenza particolarmente impegnativa. In modo speciale, si richiede il concorso di tutte le forze vive e responsabili della società per quelle istituzioni di assistenza specifica che assorbono personale numeroso e specializzato e attrezzature di particolare costo. E' soprattutto in questi campi che la sinergia tra la Chiesa e le Istituzioni può rivelarsi singolarmente preziosa per assicurare l'aiuto necessario alla vita umana nel momento della fragilità.
Mentre auspico che in questo Congresso Internazionale, celebrato in connessione con il Giubileo delle apparizioni di Lourdes, si possano individuare nuove proposte per alleviare la situazione di quanti sono alle prese con le forme terminali della malattia, vi esorto a proseguire nel vostro benemerito impegno di servizio alla vita in ogni sua fase. Con questi sentimenti, vi assicuro la mia preghiera a sostegno del vostro lavoro e vi accompagno con una speciale Benedizione Apostolica.

[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]

mercoledì 16 gennaio 2008

L'ignoranza e la sapienza

Dopo le proteste, annullata la visita del Papa a "La Sapienza" di Roma
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 15 gennaio 2008 (ZENIT.org
Benedetto XVI non si recherà più all'Università “La Sapienza” di Roma, giovedì prossimo, 17 gennaio. Visita annullata, quindi, in seguito all'occupazione del Rettorato e alle altre proteste, verificatesi nei giorni scorsi giorni, da parte di studenti e di alcuni professori dell'Ateneo.
Un nota diffusa dalla Sala Stampa vaticana spiega che “si è ritenuto opportuno soprassedere all’evento”, che si sarebbe svolto “su invito del Rettore Magnifico”.
Il Santo Padre – si legge – invierà, tuttavia, il previsto intervento”.
Il professor Renato Guarini, Rettore dell'Università “La Sapienza”, aveva detto di aspettarsi dalla visita del Papa teologo “un momento di alta cultura” e di “confronto di idee” di cui avrebbe beneficiato tutta la comunità universitaria.
Di fronte alle proteste di professori e studenti contro la visita di Benedetto XVI all'Università “La Sapienza” di Roma, nelle quali il Papa è stato presentato come nemico di Galileo, un matematico di origine ebraica ha ricordato che Joseph Ratzinger, in quell'Università, ha pronunciato una conferenza in sua difesa nel 1990.
Il sostegno al Pontefice arriva da Giorgio Israel, professore ordinario di Matematiche complementari a “La Sapienza”, con un articolo apparso sulla prima pagina de “L’Osservatore Romano” e scritto prima che la Santa Sede annunciasse l'intenzione di rimandare la visita papale. Il matematico ha ricordato un discorso pronunciato dal Cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 15 febbraio 1990, in cui spiegava il mutato atteggiamento della Chiesa nel suo rapporto con la scienza, e in particolare di fronte al caso Galileo.
“La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità”, diceva il Cardinale.
Israel ha quindi denunciato la contraddizione di quanti si sono opposti alla visita del Papa, teoricamente in difesa del valore della presunta laicità della scienza, negando il diritto alla parola.
“È sorprendente che quanti hanno scelto come motto la celebre frase attribuita a Voltaire - 'mi batterò fino alla morte perché tu possa dire il contrario di quel che penso' - si oppongano a che il Papa tenga un discorso all'università di Roma 'La Sapienza'”, ha osservato.“È tanto più sorprendente in quanto le università italiane sono ormai un luogo aperto ad ogni tipo di intervento ed è inspiegabile che al Papa soltanto sia riservato un divieto d'ingresso”, ha aggiunto. L'opposizione alla visita del Papa, ha commentato, non è “motivata da un principio astratto e tradizionale di laicità”, ma è “di carattere ideologico e ha come bersaglio specifico Benedetto XVI in quanto si permette di parlare di scienza e dei rapporti tra scienza e fede, anziché limitarsi a parlare di fede”.
Per Israel, il discorso ratzingeriano del 1990 “può ben essere considerato, per chi lo legga con un minimo di attenzione, come una difesa della razionalità galileiana contro lo scetticismo e il relativismo della cultura postmoderna”.
Chi conosce “un minimo i recenti interventi del Papa sull'argomento”, ha sottolineato, “sa bene come egli consideri con 'ammirazione' la celebre affermazione di Galileo che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico”.
“Come è potuto accadere che dei docenti universitari siano incorsi in un simile infortunio?”, si è chiesto il matematico, affermando poi che “un docente dovrebbe considerare come una sconfitta professionale l'aver trasmesso un simile modello di lettura disattenta, superficiale e omissiva che conduce a un vero e proprio travisamento”.
“Temo che qui il rigore intellettuale interessi poco e che l'intenzione sia quella di menar fendenti ad ogni costo”, ha concluso.

venerdì 11 gennaio 2008

un deludente Venerdì


Ieri un messaggio di "google alert", a cui chiedo di avvisarmi se su internet compare qualche cosa che riguarda Lourdes, mi avvisa che sul sito di repubblica se ne parla.

Mi affretto a linkare e scopro che il giorno successivo (oggi venerdì) sarebbe uscito il Venerdì di Repubblica con in prima pagina la Vergine di Lourdes ed evidentement con dei servizi. C'è anche un'anticipazione di testo e l'immagine della bellissima copertina.

Mi affretto così a mandare una mail agli amici legati all'Oftal, avvisandoli di questa novità.

Oggi, un deludente venerdì, mi pento di tutto ciò che ho fatto ieri e chiedo scusa a chi non si è ritrovato nel messaggio del giornale.

L'articolo è scontato e deludente. Poi è scritto da una giornalista che non ci mette passione e che evidentemente "non crede". I titolisti e il direttore non l'aiutano ed evidenziano che a Lourdes ci sarnno sì 6 milioni di visitatori all'anno ma per la chiesa i miracoli sono solo 67. Una frase come questa "buttata lì" inganna, se non ci si sofferma sui mille e mille miracoli e grazie che sono ottenuti. A partire dalla tranquillità dell'anima.

La giornalista poi scrive che si va a Lourdes per chiedere e non le viene in mente che qualcuno può anche andare per ringraziare...

Far accompagnare a Lourdes i lettori del venerdì da questa giornalista (Antonella Barina) è come chiedere a una velina di parlare di cultura. Dante si è fatto accompagnare da Virgilio nell'impervio inferno...

Affidare a chi non crede di parlare di Lourdes è denigrare il messaggio di Maria.

E mettere la candida copertina che è stata pensata trae in inganno il povero acquirente che abituato ad acquistare un altro giornale si fa attrarre da quella bella copertina. Forse sarebbe stato più corretto (visto che nell'articolo ci si sofferma di più su queste cose) mettere l'immagine di uno dei negozi di Lourdes con "tutto ciò che la fantasia umana può concepire a forma di Madonna e in suo onore". Forse avremmo capito prima che aria tirava e sarebbe stato meno falso.

Ah il titolo di copertina è "il miracolo di Lourdes". Intanto l'apparizione è messa in dubbio (tutt'oogi il mondo si divide tra chi crede e chi non crede nel miracolo). E al lettore viene poi scritto che c'è chi dice che il vero miracolo di Lourdes è fare il bagno nell'acqua gelida delle piscine e non ammalarsi...

E oltre tutto a fianco di questo articolo un corsivo di un antropologo (tale Marino Niola) che in un articolo alquanto "improbabile" (titolo : il sacro e le sue location) riesce a scrivere "Prima del tempio, prima della chiesa c'è la grotta. Dove il sacro viene alla luce. Proprio per questo in molte culture le cavità rocciose hanno un segno femminile, come se fossero un utero oscuro della terra". Si avete letto bene dice proprio così. Allucinante!