lunedì 5 novembre 2007

Addio don Oreste


Un ricordo personale di circa diciotto anni fa. Partecipo al Convegno Nazionale delle Caritas Diocesane a Collevalenza in rappresentanza della mia diocesi. Scelgo di alloggiare in camera doppia, ma non ho un compagno di stanza. L'organizzazione quando mi dà la camera mi dice che la condividerò nientepopodimeno che con don Oreste che era chiamato a fare una testimonianza.
Attendo con impazienza la giornata del suo intervento e alla fine di esso scopro quello che agli organizzatori era sembrata la cosa più ovvia. Non dormirà a Collevalenza e rientrerà subito al lavoro... nella sua Rimini. Che delusione per me. Che grande uomo lui!!!

LA PROFEZIA DI DON ORESTE UN MENDICANTE D’ANIME SUI VIALI DELLA RIVIERA ROMAGNOLA

MARINA CORRADI Avvenire, 3.11.2007

« Se chiama qualcuno dalla strada e vuole venirne via, dare subito il numero di cellula­re di don Oreste». La scritta in ca­ratteri grossi, neri, dietro la scri­vania in una stanza di via Grotta Rossa a Rimini, era imperiosa. L’ordine della casa, cui nessuno poteva contravvenire. Nel caso di un barlume di ripensamento, magari nello sfinimento di un’al­ba livida su un viale di periferia, don Benzi – 58 anni di sacerdozio – sapeva che bisognava esserci, subito: prima che la rassegnazio­ne seppellisse il principio di una sparuta speranza.Il vecchio prete morto nel suo let­to, nel sonno, tra la notte dei San­ti e quella dei Morti, aveva sotto la tonaca lisa qualcosa di una sta­tura epica. A seguirlo nel fondo delle notti riminesi, nei giri in cui raccattava prostitute e drogati per convincerli a cambiare vita, si a­veva inizialmente l’impressione di uno straordinario don Chi­sciotte. Le ragazze dei viali guar­davano come un folle gentile quel prete coi capelli bianchi che pro­metteva una vita diversa. Pareva, ad accompagnarlo in quelle bol­ge notturne, surreale il dialogo fra un sacerdote ottantenne e rume­ne o nigeriane diciottenni. Cre­devi che quelle ragazze sarebbe­ro scoppiate a ridere. Invece no: lo ascoltavano, infastidite prima, poi meravigliate. Guarda, diceva il vecchio nella luce rossastra dei falò, che tu non sei nata per vive­re così, guarda che puoi ricomin­ciare tutto da capo. E sotto il truc­co pesante, da marciapiede, due occhi lo guardavano, stupiti, do­po tanto tempo, nel sentirsi guar­dare come qualcosa di prezioso. Cinquecento donne hanno cam­biato vita incontrando una notte quel prete. Un cacciatore d’ani­me sui viali della riviera roma­gnola; o, più che cacciatore, un mendicante. Gentile, ostinato, al­lungava tenacemente la mano. Non si arrendeva mai. Un combattente, anche. Uno che si alzava alle 5 del mattino e diceva le Lodi e il rosario in macchina, in viaggio verso uno dei 33 centri della Comunità Giovanni XXIII. Tuttavia, il mare di cose che riusciva a fare, a stargli accanto solo per qualche ora, pareva quasi un secondo lavoro rispetto al vero centro delle sue giornate: la preghiera, ora esplicita, ora inte­riore. Baricentro costante e si­lenzioso. Era strano vedere un sa­cerdote in tonaca nera fra la fol­la vociante e sguaiata delle notti di Rimini. E arrancandogli ac­canto – a 80 anni, alle due di not­te don Oreste non era stanco – domandavi se non si sentiva a di­sagio, in quel caos. «A disagio? Qui sto benissimo. Faccio con­templazione. Cerco Cristo nella faccia di tutti quelli che incon­tro ».È stata la profezia di don Benzi: per trovare Dio non occorre chiamarsi fuori dal mondo, o frequentare buone compagnie. In mezzo agli uomini invece, nelle loro notti avide o smarrite, a ri­conoscere cosa c’è davvero dietro quell’ansia di vivere – che cosa at­tendono e non trovano, nell’eb­brezza del buio e dell’estate, in fondo a nessun gioco o bicchie­re. In mezzo agli uomini, tra di lo­ro e anzi tra quelli che crediamo peggiori. A testa alta, sicuro – ep­pure sempre con quella mano a­perta e tesa. Ci resterà, di don Benzi, il ricordo di un colloquio nel suo studio con una giovane prostituta africana appena sfuggita ai suoi protetto­ri. Guardavamo in basso, e così abbiamo notato i piedi. Quelli della ragazza, neri, agili come di una gazzella inseguita, e irrequieti di paura. Quelli di don Oreste, le scarpe grosse con le suole con­sunte da prete di marciapiede. Immobili, piazzati a terra come colonne. Come di chi ha radici di una fede profonda, e non oscilla, e non ha paura di nessuno.

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